la rigattiera nera

raccolgo tutto. dal 1974.

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15

Apr

I Raccontini della Giannina: la Lena

scritto dalla rigattiera nera  pubblicato in 1878, pagine rosee, Pasquale Fornari, pillole di saggezza, sussidiario

La Lena èra figlia di buòna gente, che le volévano tanto béne (mal inteso) che l’allevàrono molto male. Sì, avèndo essi quell’ùnica figliuòla, ne contentàrono tutti i capricci.
Che avvenne? Quel che dice il provèrbio: Bambina contentata, donna viziata. La Lena crebbe pièna di vizietti, sciamannata, senz’amore dell’órdine  e senza vòglia punto di lavorare.
L’órdine è una còsa che non è mai raccomandata abbastanza ad una ragazza. Una dònna che ha lo  spirito dell’órdine, si può dire che è una dònna ammòdo, perché l’órdine mantiène la casa.
Ma la Lena non ne aveva punto. Diventata moglie di un impiegatèllo, in pòchi anni andò a cenci lèi, il marito e i figli. Èra veramente la dònna sciatta. Il suo fòrte èra mangiare, dormire e stàrsene là in panciòlle.
Un dì viene a casa il marito per l’ora dell’asciòlvere. – “Lena, dice, che c’è da colazione?” – “Guarda nella casseruòla, risponde lèi; ci dèv’èssere un pò’ di pasticcio avanzato ièri a desinare”. – Il marito, siccome avvezzo a questo fare, senz’altro va alla casseruòla, ne lèva il pasticcio e si mette a mangiare, imboccando insième i suòi bambini.
Mezz’ora dopo, tanto lui quanto i bambini sono presi da fortìssimi dolori di vèntre. Che è? che non è? si manda pel mèdico. Per maggior disgràzia (si èra in un paesèllo) il mèdico non c’è, è di fuori lontano. Che si fa? che si dice? Chi suggerisce uòva sbattute in molta acqua; chi farina pura sciòlta nell’acqua; chi latte e chi altro. Tutti buòni rimèdi. Ma in quella casa non c’era nulla. Si va per le uòva.
Il tèmpo intanto passa. Il rimèdio pei due bambini è tròppo tardi e dèvono morire. Il marito  solo può rigettare e si libera.
Che fu? La sciatteria della Lena èra tale che lasciò coprire la casseruòla di verderame! Il rèsto viène da sé.

* * *

Bimbe! Vi sìa di perpetuo mònito la trista stora della Lena, insieme a gli altri Raccontini de La buòna Giannina –  educata ed istruita. L’ottimo Libro di lettura e di lingua coll’accentatura toscàna per le scuòle femminili dello St.mo Prof. Pasquale Fornari sempre v’accompagni, ora e ne gl’anni a venire!

Si prema qui per visionare l’articolo in versione originale.

etichette: Giannina, la Lena, morti, raccontini, storielle edificanti, verderame

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6

Apr

Lotto, Vevè e lo scempio di un ricevimento.

scritto dalla rigattiera nera  pubblicato in 1878, Marchesa Colombi, pagine rosee, saper vivere

Ho la disgrazia di conoscere una signora che ha sette figli. La maggiore è una bimba di tredici anni; il più piccino è un baby di tre anni e mezzo. La natura ha data a tutta quella cara marmaglia una memoria straordinaria, per la massima afflizione degli amici di casa.
Si esce col proposito di fare almeno quattro visite. Ma è sabato. La signora Feconda riceve. Si sale prima da lei. Dopo un quarto d’ora si vorrebbe congedarsi.
– No; aspetti un momento. Le faccio vedere Lotto (Carlo, Carlotto, Lotto) e Vevè (Vincenzo, derivazione inesplicabile) che non sono a scuola.
I due signorini entrano invariabilmente col naso sporco.
– Salutate la signora. Come si dice? Buongiorno, ma non basta, Cosa si fa? Si dà un bacio alla signora.
La signora esita un momento. La mamma se ne accorge.
– Oh ma che naso avete! e colla sua pezzuola fa la pulizia di tutti i piccoli nasi, e non transige sul bacio.
– Ed ora fatele sentire una poesia. Prima tu, Lotto.
– No, – Sì. – No….
– Dilla, e la signora ti dà la chicca. La signora non ha chicche e resta mortificata. Intanto tornano gli altri cinque figli dalla scuola. Un bis di presentazioni, di saluti, di pulitura di nasi; e poi la mamma in possesso di tutta la compagnia, dispone le cose in modo, che, col buon esempio dei grandi destando l’emulazione nei piccini, riesce a far udire, alla visitatrice tutto il repertorio delle poesie, da Lotto che diverte balbettando in francese:
“Je suis un enfant gâté
De jolie figure.”

fino alla primogenita, che fa addormentare recitando tutta la Passione di Manzoni, di cui non capisce il gran nulla.
Intanto sono le cinque; le altre visite sono andate a monte e la visitatrice deve ancora leticare colla signora Feconda, la quale vorrebbe farle sentire che la signorina dice il Natale ancora meglio che la Passione e poi eseguisce una sonata…. e che Vevè, oltre all’Ode all’Italia di Leopardi, che ha declamata, sa tutta La Charité di Victor Hugo in francese. E la lascia partire a stento promettendo però di renderle visita accompagnata da tutta la sua dotta prole, per darle una rappresentazione a domicilio.

* * *

Non abbiate mai a incontrare sul vostro cammino alcuna signora Feconda, amiche carissime! La Gente per Bene della nostra Aff.ma Marchesa Colombi sempre vi sia da viatico e da conforto.

etichette: fanciullezza, galateo, Lotto, mala educazione, poesia, repellente, Vevè

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5

Mar

Del contegno dei fanciulli colla gente di servizio.

scritto dalla rigattiera nera  pubblicato in 1878, Marchesa Colombi, pagine rosee, saper vivere

E, poichè ho accennato alle persone di servizio, debbono ricordarsi, miei piccoli lettori, – le piccole lettrici sono comprese, – che i primi giudici della educazione dei padroni sono i servitori. Li stiano a sentire quando discorrono in anticamera colla cameriera dei loro piccoli amici:
– E così come va, Teresita? Si trova bene in questa casa?
– Così, così, veda (cameriera e servitori si danno, sempre del lei). Per la signora, è come servire la Madonna, il signore, lui, non dice mai nulla. Ma i bambini, che tempesta!
– Non sono buoni?
– Punto. E che mala grazia! «Teresita questo; Teresita quello; Va; vieni; fa.» Comandano come sultani; e mai una buona parola.…
– Ah! da noi poi è differente. Tutto quel che domandano è per favore, e per ogni servizio: «Grazie, Giannotto.»
– Quelli sono bambini per bene!
Glì altri no; hanno capito, miei piccoli lettori? Dappertutto c’è da ìmparare.
Ma badino; si parla ancora. Vogliamo ascoltare dell’altro? Chissà che ci sia ancora qualche cosuccia di buono. È la Teresita che riprende:
– I padroncini della Caterina sono buoni.
– Oh! quelli poi sono troppo buoni. Li ha visti mai, Teresita, a passeggio? Si figuri che vanno a braccetto della Caterina come fosse la loro mamma.
– Ah! È per questo poi che la Caterina non li rispetta, e gli dà del tu.
– Ma che le pare, rispettarli? Sono sempre in cucina, frugano nei piatti, le fanno dei dispettacci, e se ci arrivano, siedono alla tavola della servitù.
– Allora si capisce che la Caterina li tratti da pari a pari. È l’opposto de’ miei che sono d’un’arroganza.… Io ho il mal vezzo di risponder brusca qualche volta, ed allora, sentirli come saltano! «E che i padroni sono loro, e che io sono una serva, e che mi si paga perchè debba obbedire….»
– Oh! qui da noi di queste parole non se ne sentono. Anch’io, veda, ho un po’ il vizio di risponder male. Ed allora bisogna sentire con che pace e con che serietà mi dicono: «Siate un po’ più cortese, Giannotto. La mamma ne avrebbe dispiacere se sapesse che ci fate uno sgarbo.» La gli vada a voler male a bambini educati a quella maniera!
La lezione è completa, signorini miei. Cerchino di imitare i padroncini di Giannotto: evitino gli errori di quelli della Caterina e della Teresita, e si comporteranno benissimo colla gente di servizio.

* * *

Fanciulli bene educati e compìti con il prezioso volumetto La Gente per Bene della nostra Pregiatissima Marchesa Colombi!

etichette: fanciullezza, galateo, Giannotto, servitù, Teresita

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10

Dic

La casa è il tuo regno, tuo marito è il tuo mondo

scritto dalla rigattiera nera  pubblicato in 1878, Marchesa Colombi, saper vivere, vestirsi bene

Alcuni anni or sono ricevetti una lettera da uno dei miei molti nipoti, nella quale mi diceva, dopo tante belle cose: “….e ti confesso che il mio secondo anno di nozze fu assai meno beato del primo. E sì, che ci ho Ninì, il mio dolce amorino biondo color di rosa, che comincia a dire bab…bo.
Nelle mie ore di noia ho fatto una scoperta che non può essere senza importanza per la società. Ho trovata la vera causa della poca devozione degli uomini pel settimo sacramento. È una specie di malattia nervosa, che si sviluppa, dopo la luna di miele, nelle facoltà visive del marito, e gli fa apparire tutte le mogli degli altri più attraenti della propria.
Se tu trovassi un buon oculista, che volesse occuparsi di questa oftalmia maritale….”
Partii immediatamente per Torino, senza medico oculista, s’intende. Sotto il melanconico umorismo di mio nipote, c’era qualche cosa di amaro, che mi fece temere per la felicità avvenire di quella famiglia. Tuttavia avevo un vago presentimento che, a guarire la malattia di Primo, basterebbe la mia vecchia esperienza.
Giunsi inaspettata. Primo era fuori. La cameriera mi disse:
– La signora è rientrata or ora dalle visite; si sta mettendo in libertà.
Mettersi in libertà! Era la chiave del mistero! la prima causa della malattia del marito. Guai, alle mogli che si credono in diritto di mettersi in libertà quando sono in casa!
Ordinai alla cameriera di lasciarla fare, di non annunciarmi; passai ad aspettarla in sala da pranzo, dov’era già apparecchiata la tavola.
L’Emma entrò poco dopo. Era in abito da camera ed in pianelle. Aveva un abito da camera di casimira azzurra, spigolinata di velluto color di rosa, una grazia di abito da camera; ma era un abito da camera; e portato con tutta comodità, discinto; e là sotto la sposa non aveva fascetta.
Le pianelle di raso azzurro, ricamate di perline rosee, sembravano quelle di Cenerentola che avessero finito coll’incontrarsi per fare il paio. Ma erano pianelle. E quella toletta mattinale, calzata in fretta, era mal completata da un foulard bianco annodato intorno al collo.
– Tuo marito non viene a pranzo? le domandai.
– Sì, verrà a momenti.
– E ti metti a tavola a quella maniera?
– Scusi, nonna; non prevedevo la fortuna della sua visita; e, sa, in casa…. siamo soltanto noi….
– In casa!… soltanto noi! soltanto! quando siete tu e tuo marito? Ma la tua casa è il tuo regno; ma tuo marito è il tuo mondo. Cosa ci guadagni se le persone a cui hai fatto visita, e quelle che ti hanno scontrata per via ti trovano bella? Nulla. Ma se ti trova bella tuo marito; se gli piaci, è il suo amore che guadagni; è la felicità della tua vita.
Una lettrice: – Ah Marchesa! Questa è la storia d’uno dei sette peccati capitali di Eugenio Sue; La….
– Ho capito. Non occorre dirne il titolo. Il mio libro lo possono leggere anche le signorine. È per questo che cercavo di dare un’altra forma alla tesi di quel racconto, ma non voglio che mi si accusi di plagio.
Ho dato all’Emma quel romanzo e lei v’imparò che una signora ammodo non deve mai trascurare il proprio vestire davanti al marito. Deve tenere gli abiti da camera per le ore mattutine o per la tarda sera in camera da letto. Ma durante il giorno deve portare abiti attillati, eleganti nella loro casalinga semplicità, oppure, il che è anche meglio, abiti da casa chiari, di forma speciale che non si possano portare fuori di casa, che non siano nè il compassato costume da passeggio o da visite, nè il trascurato abito da camera. Qualche cosa di speciale, che le donnine di gusto sanno immaginare tanto bene coll’aiuto d’una buona sarta, e nel quale non manca una buona dose di civetteria, a tutto beneficio del marito. E questa toletta da casa dev’essere portata con tutti quegli accessori che costituiscono l’ordine: calze bene assortite (nere sotto un abito bianco, carnicine o azzurre sotto un abito turchino, rosa pallido sotto un abito rosa, ecc.), qualche braccialetto, un nastro al collo o una cravatta. È così che un uomo è avvezzo a vedere le mogli degli altri, e se la sua è meno accurata, ne viene di conseguenza quella tale malattia agli occhi, per cui si vedono tutte le donne più attraenti della propria.
L’accuratezza, l’eleganza bene intesa, sono una specie di nobiltà individuale. Ad una persona che vediamo trascurata e dimessa, finiamo per attribuire una specie d’inferiorità; ed al confronto delle altre, la trattiamo con quella stessa noncuranza con cui si tratta lei stessa.

* * *

Signora! Non scordi mai le sagge parole della della nostra Pregiatissima Marchesa Colombi e provveda di tenere sempre sul comodino il prezioso volumetto La Gente per Bene. Non v’è bene più prezioso della famiglia e del marito: preghiamo dunque il Buon Dio perchè mai, mai ce ne tolga memoria!

etichette: eleganza, marito

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14

Nov

Dell’inurbanità infantile

scritto dalla rigattiera nera  pubblicato in 1878, Marchesa Colombi, pagine rosee, piccoli eroi, saper vivere

È il giorno di ricevimento. La signora ha molte visite.
Ad un tratto risuonano alte grida; non ci si intende più a discorrere. È Mimì che si desta; e significa alla famiglia su cui regna, ch’egli è stanco della posizione orizzontale. La mamma sorride di beatitudine; se occorre, lascia un momento la compagnia e corre ad esprimere con un bacio la sua ammirazione per quelle gesta del piccolo despota. Nessuno pensa a biasimarlo; figurarsi! – Sono così carine e commoventi quelle note scordate d’una vocina di bimbo.

Mimì fa il suo ingresso in sala nelle braccia della nutrice. Qualche cosa di grave lo preoccupa; s’è sognato male; è ancora di cattivo umore. Egli non si degna di salutare la compagnia; all’invito della mamma di compiere colla sua manina quell’atto di civiltà, alza le spalline rosee, e nasconde il volto in seno alla balia, presentando la sua personcina… dal rovescio. È ancora nei suoi diritti. E poi Mimì è così bellino da tutte le parti.

Avete un amico di famiglia a pranzo; la mamma ha sorvegliato gli apparecchi con affetto. Mimì troneggia vestito di bianco sul seggiolotto.
Egli osserva che il babbo e la mamma fanno ogni maniera di cortesie a quel vecchio signore, che essi sono felici di ospitare. Pensa che egli pure deve, come rappresentante della famiglia, dimostrare la sua deferenza all’ospite intimo e caro. E togliendosi dai labbruzzi il proprio cucchiaino non completamente vuoto, lo porge rovesciato al vecchio commensale. Tutti sorridono. Mimì sente d’aver compreso bene il suo dovere, e per incoraggiare l’invitato ad accettare la sua offerta gli carezza il volto colla manina unta… Com’è gentile Mimì!
Eppure Melchiorre Gioia dice che è atto inurbanissimo il palpare il volto ad un proprio eguale o peggio se maggiore d’età; e su questo argomento non transige neppure cogli Dei, e scaglia acerbi rimproveri ad Omero, per la sconvenienza d’averci rappresentata Teti, in atto di palpare il volto a Giove. Ma il bimbo è più padrone nel mondo che gli Dei nell’Olimpo.

* * *

Apprenderete le leggi di cortesia e il giusto contegno per ogni occasione con il prezioso volumetto La Gente per Bene della nostra Pregiatissima Marchesa Colombi.

etichette: infanzia, mala educazione, Mimì, repellente

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